Pietro Trabucchi web site

 

Cintura nera di… corsa ad alta quota.

 

Tra i personaggi singolari che ho incontrato nel mio viaggio sulla via del karate, il più lontano ed il più vicino alla disciplina del karate do, è… un corridore.

Il suo nome è Pietro Trabucchi.

E’ uno psicologo che si occupa di prestazione sportiva, è stato Psicologo della Squadra Olimpica Italiana di Sci di Fondo alle Olimpiadi di Torino 2006 e per molti anni psicologo delle Squadre Nazionali di Triathlon. Autore di diversi libri, è Professore incaricato presso l’Università di Verona.

Oltre altre cose.

 

Ma cosa centra, un corridore, con il karate???

Maruco san, questa volta devi essere impazzito.

 

E invece no.

 

Trabucchi, nei suoi libri spiega i cardini delle sue teorie sulla resilienza.

E che cos’è la resilienza???

 

La resilienza si fonda su una serie di punti, il karate, prima ancora che sulla tecnica o sulla tattica, affonda le sue radici sugli stessi elementi.

Quelli del karate “sono degli ometti resilienti”.

 

Fate bene attenzione, sto per rivelarvi i 4 segreti di una grande ricerca… ah , se solo lo avessi saputo subito… ma voi…

 

#1 senso di controllo

 

 

Bisogna essere precisi e avere degli obbiettivi reali, misurabili.

Niente stronzate come “devi muoverti come l’acqua”.

Fate un elenco delle caratteristiche che pensiate vadano migliorate in voi stessi, fissatevi degli obbiettivi e raggiungeteli gradualmente.

Premiatevi ad ogni risultato, e fate qualche pausa ogni tanto.

La volontà è come un muscolo, ed anche se può farci spingere molto più in là di quello che pensiamo, non va esaurita.

Sappiate che nella vita, quasi tutto ciò che vi capita, è vostro merito o demerito.

Voi avete il controllo, non solo dei vostri obbiettivi, ma di voi stessi.

E’ vero che esistono delle situazioni, in una competizione, o sulle vette delle montagne più alte, o nei cortili delle scuole, che nessuno al mondo desidererebbe mai, ma non è quanti colpi hai preso a far la differenza, la differenza la fa quante volte ti rialzi.

Credeteci.

 

# 2 tolleranza alla frustrazione

 

 

Stavo combattendo in Scozia a Glasgow, ero riuscito a rimettermi da un’infezione alla caviglia giusto in tempo per la championship, e pensavo di aver fatto davvero un ottimo lavoro sotto il profilo mentale.

Avevo una buona concentrazione, una buona attenzione, forse non ero al massimo della forma, ma avevo raggiunto il mio obbiettivo: alzarmi dal letto e combattere.

Arriva il primo incontro, ci vengono assegnati 2 arbitri inesperti. L’avversario mi colpisce sul braccio e gli assegnano punto, ripetutamente. 1 2 3 volte.

La disperazione mi assale, panico, ce la metto tutta, ma perdo male.

Mi agito, abbasso le braccia tese, rivolgo le palme delle mani verso l’arbitro.

Dopo l’incontro, ecco arrivare la classica depressione post competizione.

Cammino nervosamente per lo stadio.

 

Nel match dopo il mio, è il turno di un Francese di colore, tira una bella tecnica di gamba al volto dell’avversario, l’arbitro non la vede, il Francese si gira verso di lui e grida – OSS!!! – .

Succede di nuovo, il francese si volta ancora verso l’arbitro, solleva leggermente le spalle, sorride, e si rimette in posizione di yoi.

 

Il turno successivo è quello di un amico di Milano, un’altra scena simile, il mio amico era teso, quando sento il suo coach urlare “RIDI RIDI RIDI”.

Accenna un ghigno equino sotto il paradenti, e si riparte!

 

A livello internazionale si viaggia, più avanti!

Un gradino sopra!

 

Noi la frustrazione la dobbiamo gestire in… 4 3 2 1, secondi. Non hai il tempo di leccarti le ferite, di andare a casa a piangere, di rassicurarti con le giustificazioni.

La buona notizia è che tutto questo lo potete imparare. Come ho fatto io!

Non è una dote innata, non fa parte del DNA, solo esperienza… ed esperienza.

 

L’importante è che un qualcuno vi mostri come si fa e se state leggendo questo articolo, siete sulla buona strada.

 

La tolleranza alla frustrazione dipende anche dalle aspettative ci facciamo nei confronti della vita.

Pensare che partecipare ad una competizione internazionale voglia dire avere sempre un arbitro preparato tanto quanto te, è un’idea lontana dal mondo reale.

 

Oppure, nella vita – Il mio capoufficio deve essere giusto e non avere preferenze-, certo, sarebbe bello, ma la realtà è lontana da questo livello ideale.

 

Non dico che dobbiamo accettare le cose così come sono senza cercare di cambiarle, dico che dobbiamo prendere contatto con la realtà, e magari quando possibile, adottare anche qualche trucchetto.

 

# 3 capacità di ristrutturazione cognitiva

 

 

Sono stato fortunato nel corso della mia carriera sportiva.

 

Quando ero ancora molto giovane, restai senza Maestro.

Portai avanti l’impegno del dojo senza una formazione completa.

 

Ho avuto la fortuna di studiare con molti grandi Sensei, e poter riportare a casa le conoscenze apprese in giro per il mondo, per poi trasmetterle ai miei allievi, tutto questo mi ha permesso di assimilarle ancora di più, di vedere ancora di più.

Restare senza Maestro mi ha dato davvero un grande vantaggio sotto l’aspetto tecnico.

 

Avrei potuto piagnucolare, e gridare: – Ma gli altri hanno chi li segue tutti i giorni! –

Avrei potuto abbandonare.

Invece mi sono rimboccato le maniche, e mi sono seguito da solo!

 

Questa è ristrutturazione cognitiva.

 

 

# 4 attitudine alla speranza

 

 

Bisogna sperare.

 

Ho dovuto fare lavori molto pesanti nella mia vita.

Quando arrivavo nel dojo ero già stanco, sudato, con la schiena dolorante.

Ero stato costretto dalle situazioni ad interrompere gli studi, ma non ho mai mollato la pratica e l’insegnamento del karate.

Mi dicevano – ah, tu fai karate, pensa a lavorare! –

Io andavo avanti.

Questa situazioni durò più o meno 10 anni.

 

Poi recuperai gli anni scolastici perduti, ma ancora per molto tempo la mia situazione lavorativa non migliorò.

Ci vollero altri 10 anni per trovare un lavoro che si conciliasse con la pratica del karate, in maniera meno traumatica.

E’ vero, a volte ho pensato – adesso mollo -, ma non mi sono mai arreso a quei pensieri.

Ho continuato a sperare, a provarci, e non smettere di cercare.

In un lasso di tempo così lungo, (20 anni… argh!) non è solo una questione di motivazione.

 

Oggi si tende a spiegare tutto con la motivazione, eppure c’erano giorni in cui non ero motivato affatto, giorni in cui mi sembrava mi fosse passato sopra un trattore.

 

Io conservavo la speranza.

 

Non voglio dire che essere motivati non sia importante, dico che esistono forze interiori, più profonde ed intrinseche della motivazione autogenerata, o imposta da altri.

 

 

 

Fine.

 

Questi sono i 4 punti cardine che costituiscono le fondamenta del karate do.

 

Ora chiedo un piccolo sforzo di resilienza per MOLTI lettori.

Avrete bisogno, per arrivare alla fine dell’articolo di un po’ di tolleranza alla frustrazione.

 

Ho parlato di alcuni aspetti del karate che sono sportivi, altri aspetti che fanno parte della sfera privata, e poi ho parlato del karate do!

Lo so, a molti di voi si son rizzati i peli sulle braccia.

 

La pratica dello sport karate, se fatta bene, altro non è che una metafora transitoria del karate do.

Per praticare bene lo sport, dobbiamo ricercare senso del controllo, tolleranza alla frustrazione, ristrutturazione cognitiva, speranza, e diverse altre cose, che fan tutte parte del karate do.

Ma qual’è allora la differenza fra karate sportivo e karate do? Nessuna.

La nostra più grande vittoria, è migliorare noi stessi.

E’ vero anche che questo modo di vedere lo sport oggi, rappresenta un’eccezione.

 

Ma non ditelo troppo in giro.

 

Vi direbbero che state barando.

 

 

Maruco San

Categorie: PSICOLOGIA

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